In questo articolo il musicista Davide Ceccato racconta la genesi dello Straordinarius, lo strumento creato appositamente per le performance legate al progetto [MARTA].
Sono stato contattato da Paolo Nicli dell’Associazione Servi Di Scena per curare le musiche della messa in scena dedicata a Marta Fiascaris, la mistica eretica di San Daniele.
Mi è parso chiaro sin dall’inizio che l’intervento musicale non era la “cornice”, bensì una parte integrante dello spettacolo, per questo motivo ho scartato da subito l’idea di una colonna sonora che fosse filologica, a Marta serviva di più. L’illuminazione è arrivata quando ho assistito alla presentazione pubblica del lavoro di ricerca e sceneggiatura ad opera degli autori di Matearium, la storia di Marta infatti mi ha rapito ed emozionato, mi ha regalato delle profonde suggestioni, per cui ho sentito che volevo suscitare le stesse emozioni in chi avrebbe assistito alla rappresentazione teatrale.
Ricordo di aver chiamato il giorno dopo Paolo Nicli e di avergli detto che avrei accettato, a patto che mi lasciassero sperimentare, e che volevo costruire qualcosa. Quel qualcosa non mi era ancora del tutto chiaro, fino a quando, da uno di quei cassetti della memoria che restano chiusi e dimenticati, venne fuori che avevo ascoltato uno strumento che mi aveva incuriosito e suggestionato, lo yaybahar, un curioso strumento a corda inventato da un musicista turco, ma non era sufficiente, lo volevo perfezionare, raffinare.
Serviva un suono che fosse “come in cielo così in terra”, cominciai così ad immaginare il mio yaybahar, ma era già qualcos’altro nella mia testa.
Il passo successivo è stato un viaggio a Eisenschimtt in Germania dal mio fratello d’elezione Gerard Charpentier, amico da lunga data, ci accomunano l’amore per la musica, l’arte di lavorare il legno e una certa indole antisociale. Il piano era chiaro, avevamo tre giorni, dovevamo costruire quello che chiamammo Cellofono e che sarebbe poi diventato lo Straordinarius. Gerard aveva le competenze, gli attrezzi adatti, una riserva di pregiati legni stagionati e soprattutto era abbastanza matto da imbarcarsi in un’impresa simile. Partii così da Sequals con in macchina uno zaino, due panini e un violoncello di seconda mano comprato da una giovane studentessa di conservatorio. Lavorammo tre giorni di fila, con pochissime ore di sonno e senza mai vedere la luce del sole.
Il Cellofono era costruito, ma ancora mancava un elemento, il “punto di trasmissione” del suono, mi venne in aiuto Rosario Guerrini, musicologo e tecnico del suono, nonchè un caro amico ed una persona con una rara sensibilità, con lui realizzammo un ponte che riusciva a trasmettere le vibrazioni delle corde alle molle per sollecitare le membrane dei tamburi.
Nacque così lo Straordinarius: un manico di violoncello fissato su una struttura rigida in frassino, tre corde che possono essere sollecitate con l’arco, uno strano ponte, delle lunghe molle d’acciaio collegate a dei tamburi le cui membrane vibrano sollecitate dalle vibrazioni, tutto collegato da un sistema di tiranti di legno.
A me piace pensarlo come una trinità, tre corde, tre membrane, tre molle d’acciaio, ma soprattutto tre grandi presupposti: l’eresia, l’empietà e il paradosso.
L’eresia è stata l’atto originario, ricordo Gerard con la sega da falegname in mano, il violoncello disteso sul banco che mi dice “Shall I go on??” (vado??), per poi segare il manico al violoncello, 300 anni di proporzioni e tecniche costruttive intatte e mai più modificate da quando Stradivari standardizzò e portò gli strumenti ad arco al massimo della loro capacità espressiva, e noi lo segammo in un attimo.
L’empietà invece è un concetto: si dice che gli strumenti ad arco rappresentino con la massima approssimazione la voce umana, ma io che voce volevo imitare? Io volevo la voce di Dio!
Il paradosso nello Straordinarius è un problema di fisica del suono, dalle elucubrazioni di Rosario Guerrini arrivammo alla soluzione: serviva un ponte che lavorasse al contrario. Tutti gli strumenti a corda sono accomunati dal ponte, che trasmette le vibrazioni delle corde al corpo dello strumento dando luogo alla risonanza. Di fatto il corpo dello Straordinarius è una mera struttura portante, un’assenza. Creammo così un ponte paradossale, che scarica le vibrazioni dalla parte opposta, trasmettendola a delle lunghe molle d’acciaio (circa 2 metri), collegate alle membrane di tre grossi tamburi, con questa soluzione lo strumento era pronto per Marta.
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