In questo articolo il regista Luca Martini ci descrive l’approccio all’allestimento di PSICO-TASSO, drammaturgia originale di Veronica Cojaniz, che andrà in scena il 26 maggio alle 20.00 presso il teatro Palamostre di Udine.
Mi trovo davanti ad una scala.
Non una bella scalinata maestosa, dalla quale ti aspetti da un momento all’altro di veder scendere Wanda Osiris o la solita soubrette di Sanremo. No, una scaletta in legno, coi pioli, di quelle che ti porti, un po’ a fatica, sottobraccio e che puoi appoggiare dove vuoi, dove ti serve, laddove ne hai bisogno. E’ davanti a me, traggo un profondo sospiro e mi spio i piedi. Non provo nemmeno a sollevare lo sguardo per vedere dove conduce, mi limito ad osservare i pioli che mi stanno di fronte e decido di dare loro un nome, almeno ai primi, almeno a quelli che, per ora, mi si parano davanti. Senza enfatizzare, per carità. Anzi, enfatizziamo pure. Ho deciso: il primo gradino si chiama il miglior antidoto alla paura è la conoscenza.
La passione per il teatro mi appartiene da che ho memoria. Non voglio raccontare di tutti i personaggi che vestivo da bambino e che per me rappresentavano il gioco più bello, ma solo spiegare perché, adulto, mi è capitato di ricevere la seguente proposta: “Luca, ti va di coordinare i coordinatori del Palio per consentire a una giovane autrice di veder prender vita al testo che ha scritto?” Oh, si , certo che mi va. Ci vuole una piccola dose di sfrontatezza nella vita; l’umiltà può aspettare tempi più maturi, quando servirà a giustificare la pigrizia. Oh si, certo che mi va. Però, ecco, ho un po’ paura. Sono abituato a coordinare colorate tribù di adolescenti alle prime armi, non i professionisti del mestiere. Ma ormai il piede l’ho poggiato, su quel primo gradino e il miglior antidoto alla paura è la conoscenza. E così faccio conoscenza con la giovane autrice e con il suo testo. Veronica Cojaniz ha vinto una borsa di studio partecipando al laboratorio di drammaturgia organizzato da MateâriuM. Davanti a un caffè mi presenta il Tasso. Piacere Torquato, prego, si accomodi anche lei. Confesso di non aver mai letto, prima, la Gerusalemme Liberata. Ne ho solo il ricordo vago di quando l’affrontai a scuola, così, velocemente, tra un bilancio d’esercizio e un’equazione di terzo grado. A proposito di terzo grado, la povera Veronica ha dovuto affrontarlo, lì davanti a quel caffè. Volevo sapere, sapere tutto. Ne avevo la necessità quasi fisica perché dopo il primo gradino sapevo che mi aspettavano il secondo e poi il terzo… Veronica ha trovato subito la chiave per catturarmi raccontandomi della follia dell’autore e, soprattutto, di come lei abbia voluto inserire quella follia nel copione. Ho un debole per la follia. Mi spaventa e affascina perché mi fa pensare a un mostriciattolo carino e orripilante che alberga in tutti noi.
Il testo mi ha preso subito, lo ammetto. La follia di uno dei personaggi si lega alla dinamica meta-teatrale dell’allestimento di uno spettacolo, in un gioco di riflessi potenzialmente infiniti che neanche nella Casa degli Specchi al Luna Park. Un copione i cui personaggi mi hanno subito rapito, anzi sequestrato, legato e non ancora liberato. Un testo che non vedo l’ora di affrontare.
Ecco, lo sapevo, mi trovo già con tutti e due i piedi sul secondo piolo, e nemmeno me ne sono reso conto.
Il secondo piolo: il Testo è sacro.
Mai come in questo caso, il coordinatore e gli attori devono essere al servizio del testo e non solo per la finalità del laboratorio, ma anche, egoisticamente, per godere dello sguardo affascinato e grato dell’autrice che vede il suo pensiero, i suoi personaggi, le situazioni immaginate prima e scritte poi, prendere vita davanti a sé. Questo è un punto fondamentale. Solitamente per un regista (pardon – coordinatore -) avere l’autore del testo che osserva in maniera interattiva il processo creativo può essere motivo di stress e frustrazione (per usare un eufemismo). In questo caso invece è proprio l’obiettivo cardine del progetto. “Siamo al tuo servizio, Veronica. Anzi, al servizio del testo che hai scritto. Noi siamo qui per fargli prendere vita, noi siamo l’ostetrica, ma il parto è tuo e tuo soltanto.” Non ho saputo trovare altra metafora per spiegare il senso del nostro trovarci lì, tutti insieme, all’inizio del primo incontro. Noi tutti insieme? Il primo incontro? Questo significa solo una cosa: che mi trovo già sul terzo piolo.
Il terzo piolo: gli “altri” sono un pozzo molto molto profondo.
Un finesettimana, sabato pomeriggio e domenica mattina, eccoci riuniti in uno spazio suggestivo, una cave dove si respira un’aria quasi carbonara e no, non sto parlando della pastasciutta. Seduti in cerchio ci presentiamo. Molti degli attori li conoscevo già: il Palio è una famiglia. Altri no, se non di vista. Ma è bastato poco per abbattere paure e timidezze, in questo noi teatranti siamo agevolati. Un laboratorio di riscaldamento, partendo dal testo (il testo è sacro!), nel quale ciascuno è una particella a sé, fino a morire (io porto la Guerra!) per poi rinascere, e scoprire che non siamo così sole, come particelle, che ci sono altri intorno a noi, come noi, non abbiate paura, venite, avviciniamoci, abbracciamoci.
E ora che ci siamo abbracciati, toccati, annusati, via! Partiamo con l’allestimento vero e proprio. Io non sono un regista, e in questo caso non sono nemmeno un coordinatore. Sono una particella insieme ad altre. Questo lavoro dev’essere corale, necessariamente. Li vedo muoversi davanti a me, i personaggi, e ciascuno dà il proprio meraviglioso contributo e vedere vecchi amici in una veste nuova, vederli mettersi in gioco senza freni mi ha fatto ricordare ancora una volta quanto sotto la superficie siamo tutti un pozzo molto molto profondo, da scoprire. Non accontentiamoci di affacciarci e basta. Scendiamo sempre più giù e sporchiamoci le mani. Li vedo muoversi davanti a me, gli attori, e dietro di loro vedo i piedi dei passanti in superficie che camminano per via, perché la nostra è una cave sotterranea. Li vedo correre, urlare, impazzire. Poi mi giro, e scopro gli occhi di Veronica. C’è un che di mistico nel suo sguardo. Credo che abbia a che fare col concetto di Creazione. Ecco, mi trovo, con un po’ di vertigine, in quella situazione nella quale non si può fare altro che continuare a salire. E saliremo, gradino dopo gradino, tutti insieme, perché gli altri sono una risorsa indispensabile, un pozzo da cui attingere. Sarà l’adrenalina, ma non vedo l’ora di arrivare in cima alla scala, anzi, non vedo l’ora di percorrerla e non importa cosa troveremo una volta finiti i pioli.
Luca Martini
Nato a Udine nel 1978, dal 1998 è docente di Accoglienza Turistica presso diversi istituti professionali della regione. Dal 2006 al 2014 recita nella compagnia teatrale amatoriale “Il Tomat – Associazione Culturale Udine Sipario”. Negli anni 2014 e 2015 collabora con la Consulta Provinciale degli Studenti di Udine nell’ambito del “Progetto Audiovisivi – Effetto Giovani”. Dal 2004 al 2018 è coordinatore del gruppo teatrale studentesco dell’ISIS Stringher di Udine. Nel Maggio 2018 partecipa al Concorso Nazionale “Uno, nessuno e centomila”, indetto dal MIUR e dedicato alla drammaturgia pirandelliana.
0 Comments
Leave a comment